Memorie-2018

 

 

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DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXV SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 21-22 aprile 2015

 

 

SiniscalcoPaolo Siniscalco

“Sapienza” Università di Roma

 

TERRE E POPOLI DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA.

INTERVENTO INTRODUTTIVO 2015*

 

 

SOMMARIO: 1. Populus romanus. – 2. Gli imperatori e i cristiani nel III secolo. – 3 La separazione tra competenza politica e competenza religiosa. – 4. Un nuovo popolo: la comunità cristiana. – 5. La distinzione tra regnum e sacerdotium.

 

 

1. – Populus Romanus

 

Secondo una tradizione ormai consolidata, dopo l'intervento di Pierangelo Catalano, che, seguendo un cammino giuridico, ha indicato alcune nozioni su terre e popoli, prediligendo una visione di “lunga durata” che dalla leggenda di Enea e quindi dal suo esilio troiano ci ha condotto fino Lijian e al trattato tra russi e cinesi concluso a Nercinsk nel XVII secolo, vorrei aprire con questo mio breve intervento, ad apertura del XXXV Seminario, una prospettiva di carattere storico-religioso, soffermandomi su un punto che ritengo centrale nello sviluppo di una storia che da sempre è al centro della nostra attenzione: lo snodo costituito dai primi secoli, in particolare dal III e da IV secolo.

Si sa come Cicerone abbia rigorosamente definito la nozione di populus, fondandola sul iuris consensus e sulla communis communio che tengono unita l'universalità dei cittadini. Si sa d'altra parte la capacità indiscussa di Roma di integrare nuovi cittadini attraverso una articolazione flessibile del corpo civico che, tra l'altro, trova espressione nel municipium; ivi la cittadinanza da una parte rispetta la legge romana e riconosce i doveri verso la res publica nel dominio politico, sociale, religioso, e dall'altra mantiene intera la propria identità. Un'integrazione che si rafforza nel rapporto tra province e Italia e che sulla soglia della nostra èra ha in Augusto un princeps che anche con la promozione del bilinguismo contribuisce a colmare la distanza tra la parte occidentale e la parte orientale dell'Impero. Sempre più, si impone l'idea che Roma stia dando nascita a una “città” che comprende l’intera umanità, anche per il sistema sovranazionale che ha concepito e realizzato, a cominciare dal suo diritto da tutti osservato. Ed è significativo che a riconoscerlo siano osservatori che stavano al di fuori dei suoi confini e della sua storia, come Posidonio ispirato dalla visione filosofica dello stoicismo.

 

 

2. – Gli imperatori e i cristiani nel III secolo

 

Come è evidente il III e il IV secolo d.C. rappresentano per il discorso che sto abbozzando un periodo di grande interesse. Fin dall'inizio del III secolo Caracalla concede a tutti gli abitanti dell'Impero la cittadinanza romana, e - quale che sia stato il motivo della sua decisione – essa rafforza ulteriormente l'integrazione di nuovi cittadini. D'altra parte in quel periodo il movimento cristiano comincia a fare valere una sua solida consistenza – si pensi agli scritti di un Tertulliano o di un Clemente d'Alessandria o di un Origene o di un Cipriano –, tanto da destare interesse nell'ambito della stessa corte imperiale. Bastino pochi cenni. Marcia, la concubina dell'imperatore Commodo (180-192), secondo Dione Cassio[1], mostra simpatia verso gli ambienti cristiani. Consta che Severo Alessandro (222-240) abbia trattato i cristiani con benevolenza, abbia riconosciuto a loro il diritto di possedere. Secondo la testimonianza più tarda del pagano Elio Lampridio[2], egli avrebbe venerato oltre all'immagine di Orfeo, di Abramo, di Apollonio di Tiana, anche quella di Cristo. Del resto, sua madre, Giulia Mamea è quella gran dama che aveva fatto venire Origene ad Antiochia per meglio conoscere le dottrine teologiche da lui professate. Con Filippo l'Arabo (244-249), così appellato perché originario di una regione orientale della Giordania, secondo alcuni studiosi, si avrebbe avuto il primo imperatore romano convertito al cristianesimo, che pur mantiene una visione religiosa del tutto sincretistica. In ogni modo il suo atteggiamento verso i fedeli di Cristo è positivo. E ancor più lo è quello di Gallieno (260-268) che fa cessare la persecuzione voluta dal padre Valeriano, permette che i responsabili delle chiese compiano liberamente il loro ministero e concede che i luoghi di culto siano restituiti ai cristiani[3]; egli figura essere il primo imperatore che emana un editto di tolleranza a loro proposito e fa sì che essi vivano nella pace per circa 40 anni, fino alla grande persecuzione dioclezianea.

 

 

3. – La separazione tra competenza politica e competenza religiosa

 

L'insieme di queste circostanze favorevoli permette alle chiese di consolidare la loro presenza nell'Impero e fa nascere un nuovo assetto non solo religioso, ma anche politico e civile nella società. Si fa sempre più manifesto il mondo cristiano che per certi aspetti ha tratti comuni con quello romano e che per altri lo rinnova in profondità, ponendo in crisi determinati suoi istituti e costumi. L'annuncio evangelico ha carattere sovranazionale o, per meglio dire, universale, rivolgendosi a tutti gli uomini, tanto da considerare allo stesso modo eguali, non solo il greco o il barbaro, l'uomo o la donna, ma anche il libero e lo schiavo, in quanto tutte creature dello stesso Padre celeste. L'integrazione di popoli, quella capacità tutta romana di accogliere nuovi cittadini entro il suo tessuto sociale, trova nel nuovo movimento religioso la possibilità di costituire una comunità che tende ad essere di eguali.

Due eventi nel IV secolo facilitano questo stato di cose: nel 313 la decisione di Licinio e di Costantino di concedere la libertà ai cristiani – e a tutti – di scegliere la religione che vogliono e nel 379 (secondo alcuni storici nel 367) la rinuncia di Graziano al titolo e alla funzione di Pontefice Massimo della religione romana. Come già altri imperatori prima di lui, Graziano professa pubblicamente di appartenere alla Grande Chiesa e decide che la sua carica pubblica di princeps supremo della cosa pubblica non coincida più con la competenza religiosa fino ad allora esercitata.

Qui avviene la grande e definitiva frattura. Secondo la concezione romana tradizionale le pratiche e i doveri religiosi non potevano essere separati dai doveri civili. Volere sottrarsi al culto degli dèi protettori della res publica e in speciale modo al culto imperiale per un romano non era possibile. Per questo era naturale che l'imperatore fosse anche Pontifex Maximus. E per questo la separazione tra i due ambiti costituì una ferita insanabile per i pagani.

 

 

4. – Un nuovo popolo: la comunità cristiana

 

Nel frattempo nel grande organismo imperiale – e anche oltre i suoi confini – era nata gradualmente un'altra realtà composta da uomini e donne, liberi e schiavi. Era nato, per così dire, un altro popolo, non più politicamente e giuridicamente organizzato, ma composto dall'insieme dei credenti in Cristo che costituiva una comunità religiosa, che riconosceva la propria origine nella storia dell'ebraismo, di cui il Primo (o Antico) Testamento era testimone, che seguiva determinate regole morali, che aveva come propria guida la gerarchia ecclesiastica, la quale tuttavia era considerata parte di quel corpo cui apparteneva anche il più umile e semplice dei laici: «totus populus unum sumus»[4]. Era un popolo, che si percepiva come sovranazionale, non legato a etnie e neppure a specifici confini: era il nuovo popolo cristiano. Anche perseguitato, nella sua gran maggioranza (le eccezioni furono molto limitate e sporadiche) si mostrò leale verso le autorità costituite, visse all'interno del tessuto sociale in cui si trovava, pur prendendo nettamente le distanze da costumi e tradizioni nella misura in cui le riteneva idolatriche o immorali, secondo la scala di valori che era la sua. Di qui ebbe origine la polemica verso consuetudini differenti (e la difesa delle proprie), che però, nella Grande Chiesa non trascese mai in forme violente o anarchiche.

 

 

5. – La distinzione tra regnum e sacerdotium

 

A questo punto, quando gli imperatori cominciarono a proclamarsi pubblicamente cristiani, ebbe inizio in Roma e nell'Impero romano una forma di regime mai sperimentata fino ad allora. In tale senso il IV secolo si presenta come un ‘laboratorio’ che propone novità straordinariamente varie. E non mi riferisco a quella attività giurisdizionale, in origine di carattere arbitrale, poi riconosciuta al vescovo dal potere politico e civile, per la quale questi acquisisce competenza non solo nel campo spirituale, ma anche in quello civile (un'attività che comincia ad essere rispettivamente concessa ed esercitata quando si consolida l'Impero-romano-cristiano e che avrà vita per secoli in Oriente ancor più che in Occidente). Mi riferisco a quella distinzione fra regnum e sacerdotium, tra istituzione secolare e istituzione ecclesiastica, la cui origine si è ben presto individuata nella parola evangelica del “dare a Cesare quello che è di Cesare del dare a Dio quello che è di Dio”[5] (anche se occorre dire che altre parole e altri eventi riferiti nel Nuovo Testamento raccomandano un tale inedito rapporto tra autorità politica e autorità religiosa). Si tratta di un ordine dualistico il quale vede in gioco elementi che tra loro non dovrebbero essere opposti, ma complementari, mentre fin dal Tardo-antico vi sono state non solamente tentazioni reciproche, ma vere e proprie prevaricazioni dell'una o dell'altra parte, sempre negative[6]; un ordine che per altro verso costituisce un elemento fondante della storia dell'umanità, in grado di combattere e superare ogni teocrazia e ogni fondamentalismo religioso[7]. In ciò si manifesta la novità recata dal cristianesimo nelle cose della res publica.

Basti qui avere in breve posto attenzione a quell'epoca in cui per la prima volta è stata istituzionalizzata la distinzione tra Cesare e Dio in due realtà giuridiche e politiche che, nel linguaggio a noi familiare, sono la Chiesa e lo Stato[8]. In questo processo il populus è stato insieme protagonista e spettatore di un tale mutamento epocale che ha segnato e segna ancora oggi la storia della nostra civiltà occidentale.

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

* Già pubblicato in Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 44, 2016, 420-428.

[1] Cfr. Hist. 72.4.

[2] Cfr. Vita Alex. Sev. 29.2 e 51.7.

[3] Cfr. Eusebio di Cesarea, Hist. eccles. VII.13; S. Mazzarino, L'Impero romano, Roma 1973, vol. II, 528 ss.

[4] Cipriano, De dom. orat. 8.

[5] Mt 21.22; Mc 12-17; Lc 20-25.

[6] Cfr. P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell'Impero romano, 3a ediz., Roma 2009, 210 ss.

[7] Cfr. G. Miccoli, Chiesa cattolica e modernità. Atti del Convegno della Fondazione M. Pellegrino, a cura di F. Bolgiani-V. Ferrone-F. Margiotta Broglio, Bologna 2004, 169 s.

[8] Cfr. P. Siniscalco, Alle radici della nozione di laicità, in Laicità tra diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca. Da Roma alla Terza Roma-Studi VII, Roma 2009, 6 ss.